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news • May 11th, 2020

Le regole per un buon espresso nell’alta ristorazione: perché l’esperienza a tavola termina col caffè

Un incontro a tu per tu tra chi il caffè lo fa e chi lo serve: Giovanni Corsini di Agust insieme agli chef JRE-Italia Alberto Basso, Max Mascia, Stefano Di Gennaro e Dario Guidi riflettono sul futuro dell’espresso al ristorante, un caffè di alta qualità, coerente con il resto dell’esperienza. Materia prima, tecnologia ma anche formazione e comunicazione sono le leve per una tazzina migliore da oggi

Non è il dessert il momento finale di una cena al ristorante, quel momento che si ricorda appena usciti, il cui sapore resta in bocca a decretare istintivamente se l’esperienza sia stata più o meno positiva. Non è il dessert, ma il caffè. Proprio sotto questa differente luce, un caffè diventa molto più di una singola tazzina: è l’ultimo sapore prima di congedarsi, è l’ultima occasione per farsi ricordare. E come tale, merita importanza, la stessa importanza dedicata a tutto il percorso salato, alla portata dolce, al servizio e all’accoglienza in generale. Ecco perché due importanti realtà, tanto focalizzate quanto complementari, hanno voluto confrontare i propri know how per far fronte a una sfida più che fondamentale per il fuori casa: il caffè di qualità nell’alta ristorazione. Da una parte Agust, torrefazione artigianale bresciana dal 1956, dall’altra l’associazione JRE - Jeunes Restaurateurs Italia.

Al centro di questo prezioso momento di confronto, un tema sopra tutti: la coerenza.

Nei ristoranti di alto livello ogni dettaglio è curato: dagli starter al dessert. Proprio per questo il caffè non può essere trascurato: l’esperienza a tavola non termina con il dolce.

Niccolò Vecchia

moderatore della tavola rotonda

È il sapore del caffè l’ultimo ad accompagnare il cliente quando si congeda, a rimanere persistente al palato al termine dell’esperienza vissuta al ristorante.

Ma come si prepara un buon caffè, di alta qualità, all’interno di un ristorante di livello che, com’è noto, conta pochi coperti? È infatti opinione comune e diffusa che una tazzina di qualità sia difficile da servire in locali di questo genere per via dei numeri.

Ma la realtà è un’altra: sono sufficienti cultura e formazione. E a parlarne è proprio Giovanni Corsini di Agust.

Tecnologia e materiale

“Piccoli accorgimenti possono cambiare la sorte del caffè al ristorante. La scelta di packaging da 250 grammi invece che da 1 kg salvaguarderebbero la conservazione della materia prima. Portafiltri in acciaio invece che in ottone semplificano le procedure di pulizia, rendendo già buono il primo espresso. Tecnologie come il macinacaffè garantiscono la dose necessaria, facilitando la costanza di macinazione”.

Conoscere queste piccole curiosità “ci apre la strada verso la possibilità di servire un caffè di alta qualità nei nostri ristoranti - commenta Alberto Basso, presidente JRE-Italia e chef del ristorante TreQuarti - Il problema di un espresso di qualità c’è sempre stato. È l’informazione di questo genere che permette a noi ristoratori di superarlo, mantenendo alta la qualità”.

La formazione

Naturalmente non è sufficiente avvalersi di una buona qualità di caffè o di strumentazione all’avanguardia, se chi prepara il caffè non è adeguatamente formato. La mano dell’uomo, l’ultimo step della catena, è “fondamentale per non vanificare il grande lavoro fatto a cominciare dalla produzione”, aggiunge Corsini.

Una formazione che deve comunque tenere in considerazione i ruoli interni al ristorante: “Un ristoratore è spesso, allo stesso tempo, anche imprenditore, deve tenere conto di diversi aspetti - spiega Massimiliano Mascia, del ristorante San Domenico di Imola - Le persone che si occupano della preparazione del caffè possono essere diverse, non sarebbe sostenibile avere un esperto che si occupi solo di caffè. Ecco perché la formazione diventa fondamentale”.

La cultura del caffè

“Si fa formazione da una parte - conclude Mascia - e si incuriosisce il cliente dall’altra”. Il cliente in primis spesso e volentieri non è informato sul caffè come lo è su altri grandi prodotti dell’enogastronomia italiana, come vino od olio.

Ecco perché è necessario intervenire, catturando l’attenzione di un cliente che “spesso va al ristorante per vivere un’esperienza anche culturale. La formazione diventa fondamentale non solo per servire il caffè, ma anche e soprattutto per raccontare la storia che sta dentro a una tazza”, dichiara Stefano Di Gennaro del ristorante Quintessenza.

Una certezza ormai: l’interesse dell’utente medio è sempre più spiccato per tutto ciò che riguarda la materia prima, la sua storia, la sua tracciabilità, la sua identità. Ovviamente, nulla è immediato. Come è stato per i vini naturali, ad esempio, che hanno impiegato tempo ad attecchire nei gusti dei consumatori, così può essere per il caffè. “Siamo in Italia - approfondisce Dario Guidi dell’Antica Osteria Magenes - legati a una cultura gastronomica con radici profonde”

Una volta migliorate strumentazioni e materie prime, una volta formato lo staff, una volta incuriosito il cliente, si può passare oltre, immaginando la creazione di una carte dei caffè, con differenti referenze a differenti prezzi:

“La sfida in questa ultima fase sta nel far percepire al cliente medio le diverse referenze e i relativi prezzi. Come per ogni materia prima, dal piccione al vitello, dobbiamo arrivare a far percepire una differenza. Magari costa di più, magari si deve attendere di più, ma hai un prodotto completamente diverso alla fine, un’esperienza diversa”